Cenni sull'Etimo
del Nome

Tratto da “Il Cane Corso – Origini e prospettive del Molosso Italico” (Editore Mursia 1996) per gentile concessione degli autori Ferdinando Casolino e Stefano Gandolfi (soci fondatori della Società Italiana Cane Corso).

Il riferimento alla Corsica può venire spontaneo e meccanico alla mente del lettore. Diciamo subito che non centra. La parola «corso» appartiene in esclusiva ad alcuni dialetti dell’italia meridionale.

Non si conosce l’esatta etimologia dell’attributo «corso», ma se ne parla e si cerca di spiegarlo rimanendo nell’ambito ristretto delle supposizioni. Ci hanno provato autorevoli studiosi e tutte le diverse spiegazioni sono ottime e d’una serrata e convincente razionalità. Partendo esse da posizioni diverse pervengono però alle medesime conclusioni.

Vediamone qualcuna a cominciare dalle spiegazioni dello studioso più vicino alla nostra amicizia e alla nostra passione per la razza: il prof. Giovanni Bonatti, il primo a segnalare l’obliata presenza di questo molossoide nell’Italia meridionale e il primo a sollecitarne il recupero con il suo incitamento, le sue indicazioni, la sua guida di studioso e di competente.

Corsus, diceva, è un antichissimo aggettivo provenzale che in italiano significa «robusto» e che ancora oggi nella parlata di molte zone del Meridione significa la stessa cosa fino a trasformarsi in vero e proprio sostantivo: Corso.

Che c’entri il provenzale non si può escludere se anche gli Angioini di Provenza furono tra i… turisti che a quei tempi (1266-1442) scorrazzarono per il nostro Mezzogiorno, segnato come terra di conquiste. A tal proposito è curioso ricordare che uno studio del Ministero dell’Interno sulloStato delle Minoranze in Italia (1993) censisce circa 4000 persone di lingua franco-provenzale in provincia di Foggia.

Linglesecoarse, diceva ancora Bonatti, ci porta alla parolacors(grezzo) d’origine celtica ancora in uso nel Galles. A questa supposizione etimologica ne aggiungiamo un’altra altrettanto autorevole tratta da:I Nostri Cani (2/79) di L. Gentili.

Ricordando Lucio Iunio Moderato Columella nel suoDe re rustica, Gentili ci fa notare che il cane guardiano era chiamato «cane da corte», dove «corte» sta a indicarci, per etimologia, un luogo chiuso e recintato:cohors, chors, cors.

Di grande interesse è la teoria avanzata dal prof. Giuseppe Chiecchi, che fa derivare il termine «corso» dal greco antico Kòrtos, che indicava il cortile, il recinto e da cui deriva anche il summenzionatocohors.

L’ipotesi è affascinante perché ci conduce in via diretta alle antiche colonie italiche della Magna Grecia.

Cohors, intanto, assume anche il significato di guardia del corpo –Cohors praetoria (Cesare): guardia del corpo del generale;cohors regia (Livio): guardia del corpo del re;cohors scortorum (Cicerone): protettore, scorta, oggi… «gorilla».

Supponendo perciò che per simili mestieri si richiedessero prestanza, muscoli e ardimento troviamo lapalissiano che «corso» voglia indicarci un cane da guardia e da difesa «robusto».

Nel Meridione «corso» divienecors, nel suo idioma originale, per quell’uso di eliminare le vocali finali. Cors appunto, in alcuni dialetti di quelle zone, vuole significare «robusto». Una precisa funzione e certe caratteristiche morfologiche dell’individuo ne hanno sempre determinato un’attribuzione senza sbaglio:cors, per il Sud «robusto».

Un’anziana sensale di Capitanata, ai familiari della sposa che domandavano referenze dello sposo rispondeva con molta semplicità: «jé nu cors». Era più che un discorso. Voleva, in altre parole, significare che nel giovane si riunivano tutte le virtù morali e fisiche dell’uomo e del maschio: volitivo, prestante, robusto e… virile.

Tra le qualità dell’uomo e del cane s’intreccia una sovrapposizione difficile da ordinare: sono le qualità dell’uomo che descrivono il cane oppure quelle del cane che descrivono l’uomo?

Torniamo ancora per un momento a Bonatti che ci riferiva di altre varianti dell’attributo o del nome della razza.

Nella fascia confinaria tra Lucania e Calabria, raro e circoscritto, s’usava:can’ huzz, «cane guzzo» — per estensione fonetica, sempre con il significato di robusto e forte e, per ultimo, nell’Alta Lucania, puntando verso la zona irpina:cuòrsicu, corsico, cane corsicano, cane robusto, forte.

Bonatti, però, non si sentiva soddisfatto appieno delle spiegazioni cui era pervenuto e sarrovellava in successive ricerche fino a raccogliere dalla polvere seicentesca dei fogli gialli e grinzosi diFondi, feudi e masserie di zone pugliesi dell’archivio di Stato di Napoli, l’affascinante appellativo di «dogo di Puglia».

Con qualche incertezza convenne d’avere identificato la soluzione ottimale del nome della razza e s’interessò presso l’ U.C.I. (Unione Cinofilia Italiana) nel 1975 per il riconoscimento in sede nazionale e nel 1976 per quello internazionale.

Con il rispettoso affetto di sempre annotiamo quanto allora fu oggetto di calorose discussioni e opposizione da parte nostra. Era ed è solo e semplicemente Cane Corso per la sua larghissima diffusione, con questo nome, in tutto il Mezzogiorno d’Italia e in Sicilia. Alla Puglia va riconosciuto il grande merito della sua più autentica conservazione tipologica e numerica sino ad oggi.

«Dogo», spiegava qualche anno fa un francescano lucano, avrebbe potuto riferirsi a «raffinatezza linguistica» di nobili proprietari o dei frati, per i Corsi del passato, messi a guardia dei loro palazzi o dei loro conventi e importati spesso dalle masserie di Puglia con le quali sussistevano attivi rapporti commerciali per i prodotti agricoli ed il bestiame.

La battuta potrebbe avere, in realtà, un fondamento se consideriamo, per deduzione, che feudi badiali della zona del Vulture s’allargavano, per Venosa, fino ad Acquatetta nella provincia barese e intrattenevano relazioni e scambi, attraverso Candela, con le antiche masserie dei Gesuiti intorno alle quali si svilupparono Ordona, Stornara e Stornarella, Orta e Carapelle ai margini della Capitanata. Concludiamo con la consapevolezza di non aver risolto l’enigma, paghi soltanto di riferire ciò che hanno detto gli altri che consideriamo i nostri maestri. Era Cane Corso e tale rimane per consolidata tradizione e per l’orgoglio che le popolazioni del Sud sentono per il loro ausiliare, senza scomodare l’etimo e la filologia. Noi ci incamminiamo intanto per le strade che il nostro cane percorreva con l’uomo per lenire le sue fatiche e contribuire al suo progresso, sempre fedele senza condizioni, coraggioso senza arroganza, fiero senza presunzione.

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Tratto da “Il Cane Corso – Origini e prospettive del Molosso Italico” (Editore Mursia 1996) per gentile concessione degli autori Ferdinando Casolino e Stefano Gandolfi (soci fondatori della Società Italiana Cane Corso).

Il riferimento alla Corsica può venire spontaneo e meccanico alla mente del lettore. Diciamo subito che non centra. La parola «corso» appartiene in esclusiva ad alcuni dialetti dell’italia meridionale.

Non si conosce l’esatta etimologia dell’attributo «corso», ma se ne parla e si cerca di spiegarlo rimanendo nell’ambito ristretto delle supposizioni. Ci hanno provato autorevoli studiosi e tutte le diverse spiegazioni sono ottime e d’una serrata e convincente razionalità. Partendo esse da posizioni diverse pervengono però alle medesime conclusioni.

Vediamone qualcuna a cominciare dalle spiegazioni dello studioso più vicino alla nostra amicizia e alla nostra passione per la razza: il prof. Giovanni Bonatti, il primo a segnalare l’obliata presenza di questo molossoide nell’Italia meridionale e il primo a sollecitarne il recupero con il suo incitamento, le sue indicazioni, la sua guida di studioso e di competente.

Corsus, diceva, è un antichissimo aggettivo provenzale che in italiano significa «robusto» e che ancora oggi nella parlata di molte zone del Meridione significa la stessa cosa fino a trasformarsi in vero e proprio sostantivo: Corso.

Che c’entri il provenzale non si può escludere se anche gli Angioini di Provenza furono tra i… turisti che a quei tempi (1266-1442) scorrazzarono per il nostro Mezzogiorno, segnato come terra di conquiste. A tal proposito è curioso ricordare che uno studio del Ministero dell’Interno sulloStato delle Minoranze in Italia (1993) censisce circa 4000 persone di lingua franco-provenzale in provincia di Foggia.

Linglesecoarse, diceva ancora Bonatti, ci porta alla parolacors(grezzo) d’origine celtica ancora in uso nel Galles. A questa supposizione etimologica ne aggiungiamo un’altra altrettanto autorevole tratta da:I Nostri Cani (2/79) di L. Gentili.

Ricordando Lucio Iunio Moderato Columella nel suoDe re rustica, Gentili ci fa notare che il cane guardiano era chiamato «cane da corte», dove «corte» sta a indicarci, per etimologia, un luogo chiuso e recintato:cohors, chors, cors.

Di grande interesse è la teoria avanzata dal prof. Giuseppe Chiecchi, che fa derivare il termine «corso» dal greco antico Kòrtos, che indicava il cortile, il recinto e da cui deriva anche il summenzionatocohors.

L’ipotesi è affascinante perché ci conduce in via diretta alle antiche colonie italiche della Magna Grecia.

Cohors, intanto, assume anche il significato di guardia del corpo –Cohors praetoria (Cesare): guardia del corpo del generale;cohors regia (Livio): guardia del corpo del re;cohors scortorum (Cicerone): protettore, scorta, oggi… «gorilla».

Supponendo perciò che per simili mestieri si richiedessero prestanza, muscoli e ardimento troviamo lapalissiano che «corso» voglia indicarci un cane da guardia e da difesa «robusto».

Nel Meridione «corso» divienecors, nel suo idioma originale, per quell’uso di eliminare le vocali finali. Cors appunto, in alcuni dialetti di quelle zone, vuole significare «robusto». Una precisa funzione e certe caratteristiche morfologiche dell’individuo ne hanno sempre determinato un’attribuzione senza sbaglio:cors, per il Sud «robusto».

Un’anziana sensale di Capitanata, ai familiari della sposa che domandavano referenze dello sposo rispondeva con molta semplicità: «jé nu cors». Era più che un discorso. Voleva, in altre parole, significare che nel giovane si riunivano tutte le virtù morali e fisiche dell’uomo e del maschio: volitivo, prestante, robusto e… virile.

Tra le qualità dell’uomo e del cane s’intreccia una sovrapposizione difficile da ordinare: sono le qualità dell’uomo che descrivono il cane oppure quelle del cane che descrivono l’uomo?

Torniamo ancora per un momento a Bonatti che ci riferiva di altre varianti dell’attributo o del nome della razza.

Nella fascia confinaria tra Lucania e Calabria, raro e circoscritto, s’usava:can’ huzz, «cane guzzo» — per estensione fonetica, sempre con il significato di robusto e forte e, per ultimo, nell’Alta Lucania, puntando verso la zona irpina:cuòrsicu, corsico, cane corsicano, cane robusto, forte.

Bonatti, però, non si sentiva soddisfatto appieno delle spiegazioni cui era pervenuto e sarrovellava in successive ricerche fino a raccogliere dalla polvere seicentesca dei fogli gialli e grinzosi diFondi, feudi e masserie di zone pugliesi dell’archivio di Stato di Napoli, l’affascinante appellativo di «dogo di Puglia».

Con qualche incertezza convenne d’avere identificato la soluzione ottimale del nome della razza e s’interessò presso l’ U.C.I. (Unione Cinofilia Italiana) nel 1975 per il riconoscimento in sede nazionale e nel 1976 per quello internazionale.

Con il rispettoso affetto di sempre annotiamo quanto allora fu oggetto di calorose discussioni e opposizione da parte nostra. Era ed è solo e semplicemente Cane Corso per la sua larghissima diffusione, con questo nome, in tutto il Mezzogiorno d’Italia e in Sicilia. Alla Puglia va riconosciuto il grande merito della sua più autentica conservazione tipologica e numerica sino ad oggi.

«Dogo», spiegava qualche anno fa un francescano lucano, avrebbe potuto riferirsi a «raffinatezza linguistica» di nobili proprietari o dei frati, per i Corsi del passato, messi a guardia dei loro palazzi o dei loro conventi e importati spesso dalle masserie di Puglia con le quali sussistevano attivi rapporti commerciali per i prodotti agricoli ed il bestiame.

La battuta potrebbe avere, in realtà, un fondamento se consideriamo, per deduzione, che feudi badiali della zona del Vulture s’allargavano, per Venosa, fino ad Acquatetta nella provincia barese e intrattenevano relazioni e scambi, attraverso Candela, con le antiche masserie dei Gesuiti intorno alle quali si svilupparono Ordona, Stornara e Stornarella, Orta e Carapelle ai margini della Capitanata. Concludiamo con la consapevolezza di non aver risolto l’enigma, paghi soltanto di riferire ciò che hanno detto gli altri che consideriamo i nostri maestri. Era Cane Corso e tale rimane per consolidata tradizione e per l’orgoglio che le popolazioni del Sud sentono per il loro ausiliare, senza scomodare l’etimo e la filologia. Noi ci incamminiamo intanto per le strade che il nostro cane percorreva con l’uomo per lenire le sue fatiche e contribuire al suo progresso, sempre fedele senza condizioni, coraggioso senza arroganza, fiero senza presunzione.

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